Ne bis in idem: il doppio binario penale e amministrativo non convince Lussemburgo

Tris di sentenze con al centro il ne bis in idem. La Corte di giustizia dell’Unione europea è intervenuta, il 20 marzo, a chiarire il rapporto tra sanzioni amministrative e penali in relazione a un medesimo fatto, commesso dalla stessa persona, sottolineando l’efficacia diretta dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che riconosce il diritto al ne bis in idem, l’obbligo del giudice nazionale di garantire la piena efficacia della norma, disapplicando le disposizioni interne contrastanti anche se posteriori, senza necessità di attendere una rimozione legislativa o la soluzione per via costituzionale. La Corte, inoltre, ha posto un freno a tutele differenziate nello spazio Ue chiarendo che la portata dell’articolo 50 non può variare da Stato membro a Stato membro sulla base della qualificazione interna.

In particolare, nelle sentenze relative alle cause C-524/15 (C-524:15, Menci) e C-537/16 (C-537:16, Garlsson) la Corte ha stabilito che un cumulo tra procedimenti/sanzioni penali e procedimenti/sanzioni amministrative di natura penale può essere ammesso solo se finalizzato al perseguimento di un obiettivo di interesse generale, se previsto in regole chiare e precise, se sussiste un coordinamento tra i procedimenti per limitare oneri supplementari e se garantisce che la severità del complesso delle sanzioni sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità dell’illecito. Nella causa C-537/16, gli eurogiudici hanno ritenuto, precisando che il principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 50 della Carta Ue dei diritti fondamentali conferisce un diritto ai singoli direttamente applicabile nel caso di un procedimento con al centro l’applicazione della direttiva 2003/6 sull’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato, che la normativa italiana che sanziona le manipolazioni di mercato “non sembra rispettare il principio di proporzionalità”. Inoltre, pur lasciando l’ultima parola ai giudici nazionali, Lussemburgo ha evidenziato la finalità repressiva delle sanzioni amministrative, da considerare come aventi natura penale, pur in presenza di una congiunta finalità preventiva. La sanzione, infatti, comporta sempre la confisca del prodotto o del profitto ottenuto grazie all’illecito così come dei beni utilizzati per commetterlo, con la conseguenza che la sanzione non punta solo a risarcire il danno, ma è connotata da una finalità repressiva. Di qui la constatazione che il sistema italiano limita il diritto garantito dall’articolo 50 della Carta, senza rispettare il principio di proporzionalità poiché ammette che, dopo una condanna divenuta definitiva, sia celebrato un procedimento di natura amministrativa che comporta una sanzione pecuniaria la cui portata deve essere qualificata come penale. Passando alle altre pronunce, la vicenda interna nelle cause riunite C-596/16 e C-597/16 (C-596:16, Di Puma) riguardava l’acquisizione di azioni da parte di un imprenditore a seguito di informazioni privilegiate fornite da un funzionario di una società di consulenza. La Consob aveva comminato sanzioni amministrative pecuniarie per abuso di informazioni privilegiate in base all’articolo 187 bis del Dlgs n. 58/1998 contenente il “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” (modificato varie volte). I due erano stati assolti in sede penale in un procedimento che riguardava i medesimi fatti e chiedevano, quindi, che l’assoluzione espletasse effetti anche nel procedimento amministrativo in forza dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea, norma che vieta un doppio procedimento per uno stesso reato per il quale un individuo sia stato già assolto o condannato, della sentenza Grande Stevens e dell’articolo 50 della Carta Ue dei diritti fondamentali che deve essere applicato visto che la normativa interna deriva dal recepimento del diritto Ue (sull’ordinanza di rinvio pregiudiziale si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/sul-ne-bis-in-idem-rinvio-pregiudiziale-a-lussemburgo.html). La Corte di giustizia ha chiarito che l’articolo 14, paragrafo 1 della direttiva 2003/6/Ce sul market abuse va letto alla luce dell’articolo 50 della Carta e non osta a una normativa interna che impone di non proseguire il procedimento amministrativo a seguito di una sentenza penale definitiva di assoluzione. E’ vero, infatti, che la direttiva 2003/6 chiede agli Stati di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive per violazioni della normativa sull’abuso di informazioni privilegiate, ma va tenuto conto dell’autorità di cosa giudicata e della necessità di applicare il principio del ne bis in idem. Tanto più – osservano gli eurogiudici – che le sanzioni amministrative pecuniarie hanno un elevato grado di severità e, quindi, possono essere classificate tra quelle di natura penale. Inoltre, la Corte evidenzia la necessità di rispettare il principio di proporzionalità. Pertanto, a suo avviso, “la prosecuzione di un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale eccederebbe manifestamente quanto necessario per conseguire l’obiettivo” di proteggere l’integrità dei mercati finanziari.

1 Risposta
  • giuseppe
    marzo 23, 2018

    La Corte di Giustizia deve cominciare a meglio rispettare le costituzioni nazionali: in mancanza di unità effettiva dell’Europa le sentenze degli euro giudici cominciano ad essere inopportune, e, quindi, a non essere più tenute in tanta considerazione dai giudici nazionali : in passato mi sono sempre adeguato, ora comincio a seccarmi di questa interferenza!

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