Se le autorità nazionali non prendono in considerazione la particolare condizione del giornalista che svolge la sua attività professionale – anche se non accreditato da un giornale o da una tv – per raccontare alla collettività degli avvenimenti di interesse pubblico, pur violando un divieto di partecipazione a una manifestazione, è certa la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo ha stabilito la Corte di Strasburgo con la sentenza Butkevich contro Russia depositata il 13 febbraio 2018 (ricorso 5865/07, CASE OF BUTKEVICH v. RUSSIA) con la quale i giudici internazionali hanno accolto il ricorso di un giornalista televisivo ucraino e condannato la Russia per violazione dell’articolo 10 della Convenzione che assicura la libertà di espressione. Questi i fatti. Durante lo svolgimento di una manifestazione antiglobalizzazione a San Pietroburgo, il giornalista aveva disatteso l’ordine della polizia che aveva vietato la partecipazione all’evento: era stato così fermato, sottoposto a un procedimento amministrativo e sanzionato con una detenzione amministrativa di tre giorni, poi ridotti a due. Di qui il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo che gli ha dato ragione. In particolare, per quanto riguarda la violazione del diritto del giornalista alla libertà di espressione, Strasburgo ha sottolineato che le autorità nazionali non hanno considerato la circostanza che il ricorrente non agiva come privato cittadino ma come giornalista, con ciò riconoscendo la necessità di un differente trattamento proprio in ragione della funzione della stampa. Poco importa – osserva la Corte – che il reporter non era stato accreditato da un giornale o da una televisione. Quello che conta, infatti, non è il mero dato formale, ma la circostanza che il cronista stava agendo come giornalista, raccogliendo le informazioni necessarie su un evento pubblico al fine di informare la collettività. La raccolta delle informazioni è per la Corte un elemento preparatorio essenziale nel giornalismo e, quindi, deve essere protetto in base alla libertà di stampa assicurata dall’articolo 10 della Convenzione, che include anche la pubblicazione di fotografie. Non solo. I giudici interni non hanno effettuato alcun bilanciamento tra diritto alla libertà di stampa e il fine, seppure legittimo, di prevenire disordini, così come non hanno considerato che la rimozione di un giornalista dalle scene delle dimostrazioni richiede un “rigido scrutinio” proprio per non violare la libertà di stampa. Di qui la violazione dell’articolo 10 e la condanna allo Stato in causa, tenuto a versare al giornalista 7mila euro per i danni non patrimoniali e 2mila euro per le spese.
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