Via libera agli spot che utilizzano i nomi di “Gesù” e “Maria”

Gli spot pubblicitari con l’utilizzo del nome di “Gesù” e “Maria” non sono blasfemi o offensivi e, di conseguenza, le autorità nazionali devono garantire il diritto alla libertà di espressione dell’azienda che dà il via alla campagna pubblicitaria. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza depositata il 30 gennaio con la quale Strasburgo ha condannato la Lituania per violazione dell’articolo 10 che assicura la libertà di espressione (ricorso n. 69317/14, Semadienis, CASE OF SEKMADIENIS LTD. v. LITHUANIA). E’ stata un’azienda di abbigliamento a rivolgersi alla Corte europea perché, a seguito del lancio di una campagna pubblicitaria che faceva riferimento a “Gesù” e “Maria”, era stata sommersa di ricorsi. L’autorità nazionale per la protezione dei diritti dei consumatori, acquisito un parere della Conferenza episcopale lituana, aveva disposto una sanzione pari a 580 euro nei confronti dell’azienda e la Corte suprema amministrativa aveva confermato il giudizio perché l’uso inappropriato di simboli religiosi era in contrasto con le norme etiche e morali universalmente accettate.

Prima di tutto, la Corte europea ha affermato che, malgrado gli Stati abbiano un ampio margine di apprezzamento per garantire il rispetto della morale e del credo religioso, essi sono tenuti a tutelare la libertà di espressione che include anche le idee che possono offendere, scioccare o disturbare. Se, quindi, un messaggio pubblicitario non è gratuitamente offensivo o blasfemo e se non incita all’odio per motivi religiosi, gli Stati, pur in presenza di un margine di apprezzamento che è più ampio nel caso di attività commerciali o di campagne pubblicitarie, non possono compromettere il diritto alla libertà di espressione. Le autorità nazionali, inoltre, – osserva la Corte – non possono dare assoluta priorità alla protezione di un credo religioso “senza considerare in modo adeguato il diritto dell’azienda alla libertà di espressione”, anche se lo spot non contribuisce a un dibattito pubblico su questioni legate alla religione o di interesse generale.

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