Per sbrogliare la matassa del ne bis in idem nel caso di doppio procedimento penale e amministrativo la parola passa a Lussemburgo. La Corte di Cassazione, seconda sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 23232 depositata il 15 novembre (23232_11_2016pdf), ha sospeso il procedimento nazionale e sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione europea alcuni quesiti interpretativi. Nodo centrale è l’incidenza dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vincolante in base al Trattato di Lisbona e relativo al principio del ne bis in idem, sull’apparato sanzionatorio interno disposto con il recepimento della direttiva 2003/6 sul divieto di market abuse, modificata dalla 2014/57.
A rivolgersi alla Cassazione, un amministratore assolto in sede penale ma destinatario, successivamente, per decisione della Consob, di sanzioni amministrative pecuniarie per abuso di informazioni privilegiate. Sanzioni ad alto tasso di afflittività – a suo dire – tali da renderle simili a quelle penali secondo i criteri formulati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a partire dal caso Engel. Di qui l’impugnazione del provvedimento sanzionatorio pecuniario disposto in base all’articolo 187 bis del Dlgs n. 58/1998 contenente il “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” (modificato varie volte). Tra i diversi motivi di impugnazione, anche la circostanza dell’assoluzione in sede penale che avrebbe dovuto bloccare ogni altro procedimento in grado di portare a sanzioni che, nella sostanza, per il loro carattere particolarmente afflittivo, hanno natura penale. E ciò in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea, norma che vieta un doppio procedimento per uno stesso reato per il quale un individuo sia stato già assolto o condannato, e della sentenza Grande Stevens. La Cassazione aderisce alla nozione di medesimo fatto prospettata sia dalla Corte di Strasburgo sia da quella di Lussemburgo, facendo riferimento non alla qualificazione giuridica, ma al dato fattuale della stessa condotta. Nel caso in esame, si era formato, con la pronuncia di assoluzione, il giudicato in sede penale e certo le sanzioni amministrative erano particolarmente afflittive, tanto più che alla misura pecuniaria si era aggiunta quella interdittiva. Così, la Cassazione, prima di decidere, ha chiesto agli eurogiudici di chiarire la portata dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali che deve essere applicato visto che la normativa interna deriva dal recepimento del diritto Ue. Di conseguenza, la Cassazione ha scelto di anteporre alla questione di costituzionalità il rinvio a Lussemburgo, che potrebbe portare all’immediata disapplicazione del diritto interno.
La Cassazione, tra l’altro, mettendo a confronto le sentenze di Strasburgo con quelle di Lussemburgo, evidenzia che non si può “affermare che la giurisprudenza euro-unitaria escluda la duplicazione del procedimento con la stessa nettezza con cui si è espressa la sentenza della Corte Edu Grande Stevens”. Questo ha spinto la Cassazione a decidere di passare la questione agli eurogiudici che dovranno chiarire se l’articolo 50 precluda, in caso di assoluzione definitiva, “senza alcun apprezzamento da parte del giudice nazionale, di avviare altri procedimenti che portino all’applicazione di sanzioni che per natura e gravità sono qualificabili come penali”. Da chiarire, poi, se nel valutare l’applicazione del principio del ne bis in idem, il giudice deve tenere conto dei limiti di pena della direttiva 2014/57.
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