Per escludere la consegna di un cittadino Ue condannato nel proprio Stato di origine e destinatario di un mandato di arresto europeo e consentire di far scontare la pena in Italia, i giudici di appello sono tenuti a indicare in modo specifico gli elementi idonei a dimostrare la sussistenza del requisito dello stabile e non estemporaneo radicamento sul territorio italiano. Lo ha precisato la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 25879/2011 depositata il 30 giugno (VI sezione penale, mae 25879) ha precisato le condizioni di applicabilità dell’articolo 18 della legge n. 69 del 2005 con la quale l’Italia ha dato esecuzione alla decisione quadro 2002/584/Gai del 13 giugno 2002 relativa al mandato di arresto e alle procedure di consegna tra Stati membri.
Questi i fatti. Una cittadina rumena era stata condannata in patria per omicidio colposo. Era stata raggiunta da un mandato di arresto europeo in Italia, dove viveva. La donna non aveva dato il proprio consenso alla consegna chiedendo, tra l’altro, di scontare la pena in Italia dove era stabilmente residente. I giudici di appello avevano accolto la sua richiesta. Conclusione non condivisa dalla cassazione, alla quale aveva fatto ricorso il Procuratore generale, proprio a causa dell’assenza di adeguata motivazione nella pronuncia di appello. Per la Corte, per poter applicare l’articolo 18, lett. r) della legge n. 69/2005 che consente di far scontare la pena sul territorio dello Stato richiesto, i giudici sono tenuti a indicare gli elementi che dimostrano la stabile presenza sul territorio e il non estemporaneo radicamento. Una motivazione che era mancata nella decisione dei giudici di appello. Di qui l’annullamento della sentenza.
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