Non informare gli interessati e i legali di un’udienza nella quale il giudice è chiamato a decidere del prolungamento del trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione è una violazione dell’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto alla libertà personale. Lo ha chiarito la Corte di Strasburgo nel caso Richmond Yaw e altri (ricorsi n. 3342/11, 3391/11, 3408/11 e 3447/11) depositata il 6 ottobre (affaire-richmond-yaw-et-autres-c-italie), con la quale l’Italia è stata condannata per aver agito in modo contrario alla Convenzione. A rivolgersi alla Corte, 4 cittadini del Ghana che erano arrivati illegalmente in Italia nel 2008. Erano stati subito colpiti da un provvedimento di espulsione e posti in un centro di identificazione ed espulsione (Cie). Gli uomini avevano impugnato il provvedimento prefettizio dinanzi al giudice di pace che, però, aveva confermato la misura. Successivamente, su richiesta del questore, il giudice di pace aveva disposto il prolungamento della misura che obbligava i migranti (i quali avevano anche presentato una domanda di protezione internazionale) alla permanenza nel Cie. Tuttavia, poiché tutto si era svolto senza la loro presenza e senza un avvocato, i ricorrenti avevano impugnato il provvedimento che prolungava il trattenimento, che era stato annullato. La Cassazione aveva dato loro ragione. Le vittime avevano così chiesto un indennizzo per ingiusta detenzione, ma la richiesta era stata respinta dalla Corte di appello di Roma. Un comportamento complessivo che è stato sanzionato da Strasburgo. Prima di tutto, con riguardo al procedimento dinanzi al giudice di pace, la Corte europea ha ritenuto che fosse stato leso il principio del contraddittorio, bollando la mancata comunicazione ai legali e agli interessati da parte del giudice di pace come una irregolarità grave e manifesta delle regole convenzionali. Strasburgo ha anche chiarito che se il trattenimento è illegittimo, come era stato nel caso di specie, le vittime hanno diritto a un indennizzo. Così l’Italia è stata condannata per violazione dell’articolo 5, par. 5, con l’obbligo di versare 6.500 euro a ciascun ricorrente più 10.500 euro, nel complesso, per le spese legali.
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