Con due sentenze depositate il 13 settembre, la Corte di giustizia dell’Unione europea è intervenuta a delineare i limiti agli interventi delle autorità nazionali che dispongono espulsioni in modo automatico e negano il permesso di soggiorno a cittadini extra Ue, familiari di cittadini di Paesi membri, senza una valutazione specifica del livello di pericolosità sociale dell’interessato, basandosi unicamente sull’esistenza di precedenti condanne. In particolare, con la sentenza (C-165/14, c-16514; si veda anche, sull’espulsione, la C-304/14, c-30414), la Corte ha stabilito che solo nei casi di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale dello Stato membro ospitante, le autorità nazionali possono negare il permesso di soggiorno di un cittadino di uno Stato terzo che ha l’affidamento esclusivo dei figli, cittadini Ue. E’ stata la Cassazione spagnola a rivolgersi agli eurogiudici nel caso di un cittadino colombiano, padre di due minorenni cittadini Ue con residenza in Spagna, al quale era stato negato il permesso di soggiorno a causa di precedenti penali a suo carico. L’uomo, che aveva in affidamento esclusivo i due figli, regolarmente accuditi e scolarizzati, era stato condannato con sospensione condizionale della pena. La domanda di permesso di soggiorno era stata respinta. La Corte di giustizia Ue, in primo luogo, chiarito che il diritto di soggiorno di cittadini extra Ue, familiari di cittadini di Paesi membri, non è incondizionato, ma subordinato alle condizioni previste dal Trattato e dalla direttiva 2004/38 sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ha precisato che i motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza possono essere invocati per bloccare il soggiorno, ma solo in casi eccezionali e tenendo conto che “quanto più forte è l’integrazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la protezione contro l’allontanamento”. D’altra parte, la deroga al diritto di soggiorno dei cittadini Ue e dei loro familiari è un’eccezione all’esercizio di un diritto come la libera circolazione del figlio cittadino Ue, da interpretare in modo restrittivo e nel rispetto del principio di proporzionalità che impone, per di più, di tenere conto dell’interesse superiore del minore e del diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Con la conseguenza che un provvedimento (espulsione o diniego al permesso di soggiorno) va adottato solo dopo una valutazione del comportamento personale dell’interessato. E’ evidente che la sola esistenza di una condanna pregressa non giustifica in modo automatico il no al soggiorno proprio perché in sé non è una minaccia “reale e attuale nei confronti di un interesse fondamentale della società”. Nella stessa ottica, non possono essere presi in considerazione motivi di prevenzione generale, funzionali unicamente a “dissuadere altri stranieri”.
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