Luci e ombre sulla situazione italiana a Strasburgo

La lettura della relazione annuale sull’attività della Corte europea dei diritti dell’uomo, presentata dal Presidente della Corte Guido Raimondi il 28 gennaio (Annual_report_2015_ENG), a una prima lettura, sembra “rose e fiori” per l’Italia in ragione della diminuzione delle sentenze “italiane” che da 44 del 2014 diventano 24 nel 2015, tra le quali 20 condanne, alcune delle quali, però, particolarmente gravi. Tuttavia, questo dato numerico positivo, è fortemente attenuato da un altro elemento ossia il boom di dichiarazioni unilaterali con le quali l’Italia, nel 2015, ha riconosciuto l’effettiva violazione della Convenzione accettando, dopo il fallimento del regolamento amichevole, di pagare un indennizzo. Sono state, infatti, ben 1.853 le dichiarazioni nel 2015 a fronte delle 24 del 2014. In pratica, con questo strumento, lo Stato, fallito il regolamento amichevole con il ricorrente, riconosce la violazione e concede un indennizzo evitando, se il ricorrente è d’accordo, il vaglio della Corte (http://www.marinacastellaneta.it/blog/dichiarazioni-unilaterali-per-chiudere-i-ricorsi-alla-corte-europea-al-via-le-nuove-regole-di-procedura.html). In quest’ambito, l’Italia ha un primato assoluto, con 1.853 casi su un totale di 2.970 dichiarazioni. Segue la Turchia con 658 dichiarazioni. Diminuiscono anche i ricorsi dichiarati irricevibili che da 9.625 nel 2014 arrivano a 4.438 nel 2015, segno della migliore conoscenza dei meccanismi della Corte europea. Detto questo, però, l’Italia pesa molto sul carico di lavoro di Strasburgo con 7.567 ricorsi pari, in percentuale, all’11,69% del totale, preceduta dall’Ucraina (13.832), dalla Russia (9.207) e dalla Turchia (8.446). Il podio per il numero di condanne è conquistato dalla Russia (109 su 116 sentenze), seguita dalla Turchia (79 su 87), dalla Romania (72), dall’Ucraina (50), dalla Grecia (43), dall’Ungheria (42), dalla Bulgaria (28) e dall’Italia (20). Dal 1959 al 2015 risulta in vetta la Turchia con 2.812 condanne, seguita dall’Italia a quota 1.780 e dalla Russia (1.612).

In via generale, il 2015 è stato un anno particolarmente produttivo per la Corte, con un sensibile miglioramento degli standard di efficienza che ha portato a una diminuzione progressiva dell’arretrato che passa da 69.900 ricorsi pendenti a 64.850 (-7%), con un numero di procedimenti chiusi che supera l’entrata di nuovi casi. Non solo. E’ aumentato il tasso di comunicazione agli Stati tant’è che nel 2015 i ricorsi comunicati sono stati 15.965 a fronte dei 7.895 nel 2014 (+102%). Le sentenze sono state 823 in diminuzione dell’8% rispetto all’anno passato (891). Un dato che va letto nel complesso perché molte cause sono state riunite: il numero effettivo è, quindi, di 2.441 contro le 2.388 del 2014. Sotto il profilo della qualità, la Corte ha messo in primo piano le questioni più importanti che al 31 dicembre 2015 erano 11.490. Il numero di ricorsi prioritari è aumentato del 10% e quelli dichiarati irricevibili sono scesi del 35%. Resta il problema dei ricorsi seriali che ammontano a 30.500. Sul punto, indispensabile il contributo degli Stati che devono rispettare la Convenzione e applicarla correttamente sul piano interno tenendo conto della giurisprudenza della Corte. Strasburgo – ha detto il Presidente Guido Raimondi – dispone degli strumenti tecnici necessari per arrivare a una diminuzione degli affari seriali, ma questo dipende “anche dalla capacità degli Stati convenuti nel trattare questi casi”. Per quanto riguarda il contenuto delle sentenze e delle violazioni accertate, nel complesso, sempre in primo piano la violazione dell’equo processo (24.18%). Allarmante che ben il 23% dei casi abbia riguardato la violazione dell’articolo 3 che vieta la tortura e i trattamenti disumani e degradanti. Segue la violazione del diritto alla libertà personale (15,63%).

Tra le sentenze più significative rivolte all’Italia quella Cestaro del 7 aprile 2015 sui fatti del G8 di Genova con la quale la Corte ha evidenziato la violazione del divieto di tortura da parte dell’Italia e ha chiesto al più presto l’adozione di una legge che punisca in modo effettivo il reato di tortura. L’inerzia del legislatore italiano è stata colpita anche sui diritti delle coppie dello stesso sesso, con una condanna pronunciata il 21 luglio 2015 nel caso Oliari e altri. Per la Corte europea, la mancata adozione di una regolamentazione sulle unioni civili per il riconoscimento legale delle coppie dello stesso sesso è una violazione dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Anche in questo caso, la Corte ha chiamato in causa il legislatore chiedendo di adottare una normativa conforme alla Convenzione e questo anche per evitare inevitabili ricorsi seriali a Strasburgo.

Qui ulteriori statistiche (Stats_analysis_2015_ENG).

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *