Confisca di beni culturali con finalità recuperatoria: non applicabile la sentenza Varvara

La Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 42458 depositata il 22 ottobre 2015 (42458_10_15) conferma un orientamento volto a limitare gli effetti delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, insistendo su un’interpretazione delle sentenze di Strasburgo con effetti circoscritti alle sole pronunce consolidate. E questo malgrado una simile interpretazione sia stata già stigmatizza dai giudici internazionali. Con l’indicata sentenza, la Suprema Corte ha stabilito che la confisca obbligatoria di cui all’articolo 174 del Dlgs n. 42 del 22 gennaio 2004, che punisce chiunque trasferisca beni artistici e storici all’estero, senza attestato di libera circolazione, è una misura di carattere amministrativo, applicabile anche in mancanza di un accertamento della responsabilità penale, escludendo così il carattere sanzionatorio del provvedimento. Nel caso all’attenzione della Cassazione, il ricorrente si opponeva alla confisca di alcuni beni disposta dal giudice dell’esecuzione, misura stabilita pur in mancanza di una sentenza di condanna per il fatto per il quale era stato disposto il provvedimento ablativo. La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato. Chiarito che sussiste una presunzione della proprietà statale dei beni culturali, la Corte ha precisato che il ricorrente non ha fornito prove idonee a ribaltare questa presunzione. E’ altresì da respingere il richiamo all’articolo 240 c.p. il quale prevede che, nel caso di condanna, il giudice può ordinare “la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto”, perché la disposizione si riferisce a una fattispecie diversa da quella in esame. In pratica, in relazione all’articolo 240 per disporre la confisca è necessario il previo accertamento della responsabilità penale, mentre così non è per l’applicazione dell’articolo 174 Dlgs n. 42/2004. Per la Corte, inoltre, una diversa interpretazione volta a limitare la protezione prevista per beni di valore artistico e culturale sarebbe in contrasto con gli obblighi di tutela del patrimonio culturale che incombono sullo Stato in base al diritto internazionale e, in particolare, alla Convenzione Unesco del 14 novembre 1970 sulle misure da adottare per vietare e impedire ogni illecita importazione, esportazione o trasferimento di beni di proprietà riguardanti beni culturali nonché alla Convenzione Unidroit del 24 giugno 1955 sul rientro dei beni culturali rubati o illecitamente esportati. Alla luce di quanto detto, la Cassazione, accertato che la confisca dei beni culturali ha una finalità recuperatoria di un bene che non può essere sottratto al patrimonio culturale, giunge alla conclusione che “la confisca di beni culturali esportati illecitamente all’estero non richiede necessariamente la contestuale sentenza di condanna penale nei confronti dell’autore del reato”. Di conseguenza, non si applica la sentenza della CEDU resa il 29 ottobre 2013 nel caso Varvara tanto più – scrive la Cassazione – che l’obbligo del giudice interno di adattarsi all’interpretazione della Convenzione sussiste solo per le pronunce consolidate. Una conclusione, quest’ultima, che ricalca la sentenza della Corte costituzionale n. 49/2015, depositata il 26 marzo 2015, con la quale la Consulta ha limitato, in modo discutibile, gli effetti delle pronunce di Strasburgo, stabilendo che il giudice interno non è tenuto a conformarsi alla giurisprudenza della Corte europea se non nei casi di sentenze pilota o di diritto consolidato. E’ opportuno ricordare che la Corte europea, nella sentenza Parrillo contro Italia resa dalla Grande Camera il 27 agosto 2015, ha ritenuto che i limiti imposti dalla sentenza n. 49 sono fondati su un predominio “assiologico” della Costituzione sulle norme della Convenzione europea, con un consequenziale limite all’applicazione delle sentenze della Corte europea. Un effetto che, a nostro avvisto, è contrario all’articolo 46 della Convenzione che stabilisce la forza vincolante delle sentenze senza i paletti posti dal giudice nazionale.

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