Divieto di reingresso: Lussemburgo sdogana le misure detentive

La pena detentiva per il cittadino di un Paese extra Ue che viola il divieto di reingresso non è contraria al diritto Ue. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata il 1° ottobre (C-290/14, C-290:14), salvando la legislazione italiana la quale prevede una misura detentiva per punire il nuovo ingresso irregolare. A patto, però, che il divieto di ingresso sia conforme all’articolo 11 della direttiva 2008/115 sulle norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. La Corte ha ribaltato le conclusioni dell’Avvocato generale Szpunar secondo il quale la misura della detenzione, invece, era in contrasto con la normativa Ue.

La questione pregiudiziale è stata sollevata dal Tribunale di Firenze che ha chiesto a Lussemburgo di chiarire se la direttiva 2008/115 impedisca l’applicazione di una sanzione detentiva nei confronti di un cittadino di un Paese terzo rientrato irregolarmente sul territorio di uno Stato membro in violazione di un divieto di ingresso. Questi i fatti. Un cittadino albanese, accusato di furto, era stato espulso e gli era stato precluso il reingresso per tre anni. Dopo aver lasciato il territorio italiano, l’uomo era rientrato in Italia in violazione dell’articolo 13 del Dlgs n. 286/98 e, di conseguenza, era stato arrestato. Per la Corte Ue, che ha tracciato il perimetro di applicazione della direttiva rimpatri la quale non ha l’obiettivo di armonizzare integralmente le norme sul soggiorno degli stranieri, gli Stati possono prevedere che il reingresso illegale di un cittadino di uno Stato terzo sia qualificato, nel proprio ordinamento, come reato. Inoltre, gli Stati possono anche stabilire l’applicazione di sanzioni penali “per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione”. E’ vero – osservano gli eurogiudici – che gli Stati non devono compromettere il risultato perseguito in un atto Ue e, quindi, porre ostacoli al rimpatrio, ma gli ordinamenti nazionali possono intervenire nel caso di nuova trasgressione. Per la Corte, infatti, il caso di sanzione penale a seguito del divieto di reingresso è ben distinto dall’ipotesi in cui la detenzione è applicata nella prima procedura di rimpatrio all’esito di un procedimento penale che, certo, rischia di ritardare l’allontanamento in modo contrario alla direttiva, come già accertato nella sentenza El Dridi. Chiarita la conformità della sanzione penale per la violazione del divieto di reingresso, Lussemburgo limita la discrezionalità degli Stati tenuti a rispettare i diritti fondamentali sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e in quella di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati.

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