L’utilizzo di frasi che deridono un politico non possono essere considerate diffamatorie se contribuiscono al dibattito su questioni di interesse generale e se non si tratta di attacchi personali gratuiti. Mentre sul piano nazionale si comprime la libertà di stampa (in Italia come in altri Paesi), la Corte europea dei diritti dell’uomo procede nella sua opera di rafforzamento nella protezione dei giornalisti proprio in ragione della strumentalità della libertà di stampa per la democrazia. In questa direzione, con la sentenza depositata il 22 settembre (AFFAIRE KOUTSOLIONTOS ET PANTAZIS c. GR?CE), Strasburgo ha condannato la Grecia per violazione dell’articolo 10 che assicura la libertà di espressione. A rivolgersi alla Corte europea l’editore di un giornale locale di Ioannina e il direttore del dipartimento dei monumenti storici che aveva scritto un articolo polemico su un politico, ex sindaco della città. Quest’ultimo li aveva citati in giudizio e i tribunali greci li avevano condannati per diffamazione a una sanzione di 15mila euro. I giudici nazionali avevano analizzato la vicenda tenendo conto dell’articolo 10 della Convenzione, ma erano giunti alla conclusione che era stato oltrepassato il limite previsto poiché era stata lesa la reputazione dell’ex sindaco. Una conclusione che non ha convinto Strasburgo. Per i giudici internazionali, infatti, non è conforme alla prassi di Strasburgo estrapolare una singola frase dal contesto dell’articolo senza valutare elementi essenziali come il contributo di un articolo di stampa al dibattito su questioni di interesse per l’intera collettività. L’autore dell’articolo aveva usato uno stile polemico, sarcastico, incisivo e provocatorio ma ciò non può giustificare una restrizione alla libertà di espressione se l’articolo ha un interesse generale. Tanto più – osserva la Corte – che non spetta ai giudici indicare all’interessato lo stile da utilizzare. Nel caso di specie, poi, l’autore aveva espresso critiche nei confronti di un politico senza alcun attacco personale gratuito perché le espressioni utilizzate avevano un legame sufficientemente stretto con la situazione commentata dall’autore e con la gestione della città. Di qui la violazione dell’articolo 10 a seguito della condanna disposta dai tribunali nazionali e l’obbligo, per lo Stato in causa, di versare a ciascun ricorrente poco più di 10mila euro per i danni patrimoniali subiti.
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