L’applicazione congiunta di sanzioni amministrative in materia tributaria e penale pone “non irrilevanti dubbi di compatibilità con la CEDU” ma la Corte di cassazione non può affrontarli perché in sede di legittimità non si può procedere all’accertamento del fatto necessario per verificare la preclusione derivante dalla coesistenza di due procedimenti riguardanti lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona. E’ la conclusione a cui è giunta la terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 19334/15 depositata l’11 maggio 2015 (19334. Nello stesso senso si veda la sentenza n. 20887 del 21 maggio). A rivolgersi alla Suprema Corte era stato un individuo condannato per il delitto di cui all’articolo 10 bis del Dlgs n. 74 del 2000 (omesso versamento di ritenute certificate) che aveva già avuto una sanzione dall’Agenzia delle entrate. Di qui il ricorso in Cassazione: il ricorrente sosteneva, in particolare, che si fosse configurata una violazione del principio del ne bis in idem come configurato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Grande Stevens considerando che aveva subito una doppia sanzione per la stessa violazione e per l’identità di oggetto tra il procedimento amministrativo e quello penale. La Suprema Corte ha dichiarato, però, il ricorso infondato perché in sede di legittimità non si può procedere all’accertamento del fatto necessario al fine di verificare la preclusione della coesistenza di due procedimenti iniziati per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona. E’ vero – osserva la Cassazione – che una parte della giurisprudenza ritiene che il ne bis in idem si risolve in un error in procedendo con la possibilità di un accertamento di fatto dei relativi presupposti, ma la la terza sezione, nella sentenza in esame, propende per una diversa soluzione. La Suprema Corte, infatti, ha sottolineato che il ne bis in idem sostanziale di cui all’articolo 649 c.p.p. richiede accertamenti di merito per verificare la coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, accertamenti che non competono alla Cassazione. Esclusa poi la possibilità del rinvio pregiudiziale tenendo conto che la Corte Ue è chiamata ad applicare la Carta dei diritti fondamentali solo nei casi in cui entri in rilievo il diritto dell’Unione (si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/ordinanza-della-corte-ue-sul-ne-bis-in-idem.html). In ultimo, la Corte di cassazione, rilevato che il ne bis in idem sostanziale non ha una copertura testuale nella costituzione italiana, ma in fonti internazionali come, tra gli altri, l’articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto a non essere giudicati due volte per lo stesso reato, ha affermato che è ipotizzabile che si possa porre una questione dinanzi alla Corte costituzionale in relazione all’articolo 117 della Costituzione, ma nel caso di specie questo è da escludere proprio per l’asserita impossibilità di valutare in sede di legittimità il ne bis in idem anche in mancanza di prova della definitività dell’irrogazione della sanzione amministrativa.
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