Caso Contrada: nuova condanna all’Italia

Il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso non era sufficientemente chiaro all’epoca dei fatti contestati al condannato. Di qui la violazione dell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in base al quale “nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che al momento in cui fu commessa non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale”. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza di condanna all’Italia nel caso Contrada (n. 3) depositata il 14 aprile (AFFAIRE CONTRADA c. ITALIE N 3). Per la Corte, la condanna del ricorrente per il concorso esterno in associazione di stampo mafioso per fatti risalenti agli anni 1979-1988 è stata contraria all’articolo 7 perché all’epoca dei fatti contestati non sussisteva ancora una base giuridica sufficientemente chiara. La legge applicabile doveva definire chiaramente il reato in esame mentre così non è stato anche perché le sentenze che hanno chiarito il reato  sono tutte successive ai fatti per i quali è stato processato e condannato il ricorrente (si veda la sentenza Demitry del 1994). Di qui la violazione del principio di prevedibilità della legge penale e di non retroattività. La Corte europea ha anche disposto un risarcimento per i danni morali subiti da Contrada pari a 10mila euro.

Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/trattamenti-disumani-e-degradanti-litalia-ha-violato-nuovamente-la-convenzione.html.

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