Il trattenimento illegittimo in un Cie deve essere indennizzato, anche se la legge italiana non lo prevede

L’Italia condannata a risarcire i danni morali subiti da una donna destinataria di un provvedimento di espulsione illegittimo, trattenuta in un Centro di identificazione e di espulsione (Cie). La legge italiana – ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza dell’8 febbraio 2011 (Seferovic contro Italia, ricorso n. 12921/04, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=35&portal=hbkm&action=html&highlight=&sessionid=66403467&skin=hudoc-fr) – non prevede alcun sistema che consenta agli individui che si trovano nella situazione della donna ossia trattenuti illegittimamente nei centri, di ottenere una riparazione violando, di conseguenza, l’articolo 5, par. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in base al quale ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione delle condizioni fissate nella Convenzione ha diritto a una riparazione.

A Strasburgo si era rivolta una donna di etnia rom proveniente dalla Bosnia Erzegovina nei confronti della quale, dopo poche settimane dalla nascita del figlio (morto dopo pochi giorni), era stato emesso un provvedimento di espulsione perché irregolare. In attesa dell’esecuzione della misura era stata trattenuta in un Cie nei pressi di Roma. Tuttavia, il tribunale di Roma, alla quale la donna si era rivolta contestando il provvedimento, aveva deciso il suo immediato rilascio perché in base al dlgs 286/98 le espulsioni non possono essere disposte nei confronti delle donne in stato di gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. In seguito la donna aveva anche ottenuto, nel 2006, lo status di rifugiato. Tuttavia, non potendo ottenere un indennizzo in Italia per una lacuna del sistema normativo, malgrado la sua privazione della libertà personale fosse stata illegittima, la donna si era rivolta a Strasburgo che le ha dato ragione ritenendo sussistente una violazione dell’art. 5, par. 1 e par. 5 della Convenzione, e, di conseguenza, ha riconosciuto un indennizzo per i danni non patrimoniali subiti pari a 7.500 euro (la donna ne aveva chiesti 45.000).

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