Gli Stati sono tenuti ad adottare adeguate misure per garantire una sicura custodia delle intercettazioni telefoniche depositate in un fascicolo processuale. In caso contrario, è certa una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Se si realizza una pubblicazione sugli organi di stampa di stralci di intercettazioni, attinte da un fascicolo e coperte da segreto, la responsabilità è dello Stato che non adotta misure per garantire la segretezza dei fascicoli e per impedire fughe di notizie. Lo ha chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza depositata il 3 febbraio 2014 (Apostu contro Romania, CASE OF APOSTU v. ROMANIA). A Strasburgo si era rivolto un ex sindaco di una cittadina rumena accusato di corruzione e sottoposto a custodia a cautelare. Durante la fase delle indagini e prima del processo, erano stati pubblicati stralci virgolettati di intercettazioni telefoniche, molte delle quali non riguardanti il reato contestato ma la sua vita privata. Di qui il ricorso alla Corte europea. Chiarito il rispetto del previo esaurimento dei ricorsi interni, considerando che i rimedi nazionali non erano effettivi, la Corte, riconosciuto che le condizioni di detenzione del ricorrente erano in contrasto con gli standard a tutela dei diritti umani, con la conseguente la violazione dell’articolo 3 della CEDU che vieta trattamenti disumani e degradanti, è passata ad analizzare il mancato rispetto del diritto alla vita privata e familiare. Gli Stati – osserva Strasburgo – sono tenuti ad organizzare i propri servizi e l’attività delle proprie istituzioni in modo tale che le informazioni confidenziali non siano divulgate. Se ciò non avviene e se lo Stato non assicura adeguati strumenti di riparazione è certa una violazione dell’articolo 8 poiché è evidente che le autorità nazionali non hanno messo in atto gli obblighi positivi su di essi incombenti. Di conseguenza, la fuga di notizie verso la stampa di informazioni non pubbliche provenienti dal fascicolo processuale, è imputabile allo Stato (e non – si desume dal ragionamento della Corte – alla stampa) costituendo un’ingerenza nella vita privata dell’indagato.
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