Ne bis in idem, procedimenti penali e fiscali: nuovo intervento della CEDU

Via libera allo svolgimento di procedimenti paralleli, penali e fiscali, per uno stesso fatto, a patto, però, che un processo non si sia già chiuso con una sentenza definitiva. In questo caso, infatti, scatta l’applicazione del principio del ne bis in idem con la conseguente violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione dei diritti dell’uomo se uno dei due procedimenti va avanti. Ancora una volta, la Corte di Strasburgo è intervenuta sulla complessa questione dell’applicazione del principio del ne bis in idem nel caso di infrazioni fiscali che portano a un  procedimento amministrativo e a uno penale. Con la sentenza depositata ieri, che è costata una condanna alla Svezia (Lucky Dev, CASE OF LUCKY DEV v. SWEDEN) e che avrà certo effetti in tutti gli Stati che hanno ratificato la Convenzione, inclusa l’Italia, Strasburgo ha precisato la portata del ne bis in idem escludendo, tra l’altro, che l’articolo 4 si occupi di litispendenza.

Alla Corte europea si era rivolta una donna accusata di aver dichiarato meno entrate nonché di alcune irregolarità contabili. Il procedimento all’agenzia delle entrate, conclusosi dinanzi al giudice amministrativo, aveva portato alla condanna della donna al pagamento di una sovrattassa. Mentre la pronuncia non era ancora definitiva, era stato avviato un procedimento penale. La donna era stata assolta, in via definitiva, per i reati fiscali, mentre aveva subito una condanna per irregolarità contabili. In una certa fase, quindi, si erano svolti due procedimenti paralleli malgrado una pronuncia definitiva. Una chiara violazione dell’articolo 4 per la Corte. Prima di tutto, Strasburgo ha chiarito che il procedimento fiscale poteva essere qualificato come penale. In secondo luogo, la Corte ha precisato che, nel prevedere il principio del ne bis in idem, il Protocollo punta a impedire doppi procedimenti giudiziari che per reati derivanti dallo stesso fatto o da fatti che sono sostanzialmente gli stessi, intrinsecamente legati nel tempo e nello spazio, nei casi in cui un processo si sia già concluso con una decisione finale. Questo vuol dire – chiarisce la Corte – che la norma del Protocollo non si occupa della litispendenza, lasciando gli Stati liberi di prevedere il contemporaneo svolgimento del procedimento penale e fiscale. I due processi, quindi, possono andare di pari passo. Detto questo, però, la Corte precisa che un procedimento non può andare avanti se l’altro si è concluso con una sentenza definitiva. Nel caso in esame, quello penale si era chiuso 9 mesi prima ma la Corte suprema amministrativa non aveva preso in considerazione l’assoluzione per reati fiscali. Questo ha portato al fatto che la ricorrente è stata processata due volte per un fatto per il quale era stata assolta. Di qui la violazione della Convenzione che fa il paio con la sentenza Nykänen contro Finlandia del 20 maggio 2014 con la quale la Corte aveva affermato la violazione del principio del ne bis in idem in un caso analogo nel quale, però, si era concluso prima il processo fiscale e poi quello penale.

Sul fronte italiano, sulla questione della doppia sanzione, penale e fiscale, è stata chiamata in causa la Corte costituzionale. La Cassazione, con ordinanza del 10 novembre, dopo la sentenza Grande Stevens del 4 marzo 2014 della Corte europea, ha chiesto alla Consulta di verificare se la possibilità di una doppia sanzione, penale e amministrativa nel caso del market abuse, prevista dall’ordinamento italiano, sia in contrasto con l’articolo 117 della Costituzione il cui contenuto è fornito, nel caso di specie, dall’articolo 4 del Protocolo n. 7.

Se poi il Consiglio di Stato con ordinanza del 2 ottobre (ricorso n. 4491/2014, N. 07566_2014 REG.RIC.) ha imposto  alla Consob di adeguarsi alla pronuncia della Cedu per quanto riguarda i profili sanzionatori, modificando i regolamenti contrari alla Convenzione, in senso diverso, si attesta il Tar Lazio, seconda sezione, con sentenza del 27 novembre  (N. 11054_2014 REG.RIC.). Secondo il Tar non sussiste affatto “l’obbligo della CONSOB di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni “penali” alla sentenza CEDU su menzionata, affermato dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4491 in data 2 ottobre 2014, perché da un’attenta lettura di tutti passaggi della motivazione dalla sentenza n. 18640 del 2014 si desume chiaramente che il sistema di irrogazione e impugnazione delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF ha superato indenne lo scrutinio operato dalla Corte EDU. Pertanto il ricorso in esame deve essere respinto perché infondato”.

Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/consiglio-di-stato-la-sentenza-cedu-sul-caso-grande-stevens-impone-la-modifica-dei-regolamenti-consob.html

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