Se le autorità nazionali assicurano al cittadino di un Paese terzo che si trova in una situazione di irregolarità l’esercizio del diritto ad essere ascoltato in un procedimento non è più necessario sentirlo nuovamente nell’adozione della decisione di rimpatrio. E’ il principio stabilito nella sentenza relativa alla causa C-166/13 (C-166:13), depositata il 5 novembre dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata a interpretare la direttiva 2008/115/Ce del 16 dicembre 2008 relativa a norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Sono stati i giudici francesi a chiamare in aiuto Lussemburgo per risolvere un problema interpretativo della direttiva, di interesse anche generale, riguardante il diritto al contraddittorio. La vicenda aveva preso il via dalla decisione di rimpatrio disposta dalle autorità francesi nei confronti di una cittadina ruandese alla quale già un anno prima era stato intimato di lasciare il territorio dopo aver accertato l’irregolarità del suo soggiorno. La donna aveva impugnato i provvedimenti sostenendo che era stata violata la direttiva perché era stata sentita solo nel procedimento che aveva accertato l’irregolarità del soggiorno in Francia, ma non al momento dell’adozione della decisione di rimpatrio. Una tesi che non ha convinto la Corte Ue che ha cercato di far quadrare il cerchio tra esigenze di rispettare le garanzie procedurali e necessità di provvedimenti di rimpatrio celeri. Chiarito che il rispetto dei diritti di difesa e, quindi, del contraddittorio, è un principio fondamentale del diritto dell’Unione, previsto per di più dalla Carta dei diritti fondamentali, la Corte ha stabilito che ciò che conta è che ogni individuo sia sentito prima che “venga adottato un provvedimento individuale lesivo”. Questo non vuol dire, però, che colui che soggiorna in modo irregolare deve essere sentito in ogni procedimento relativo alla sua domanda di soggiorno. D’altra parte, la direttiva non fissa le condizioni e le conseguenze di un’eventuale violazione del diritto ad essere sentito, che sono affidate alla discrezionalità degli Stati. Il rispetto dei diritti di difesa – osserva la Corte – non è una prerogativa assoluta, e può essere sottoposto a limitazioni a condizione che siano funzionali agli obiettivi di interesse generale e non si tratti di interventi sproporzionati e inaccettabili. Nel caso in esame, la donna era stata sentita nel procedimento che aveva accertato l’irregolarità del soggiorno e negato l’asilo. Pertanto, tenendo conto che il provvedimento di rimpatrio deriva dall’accertamento dell’irregolarità e che le autorità nazionali sono tenute a eseguire i provvedimenti in modo rapido, nel rispetto di una procedura equa e trasparente, gli Stati possono prevedere nel proprio ordinamento un’unica fase di ascolto.
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