No al requisito della cittadinanza italiana per i candidati alla Presidenza delle autorità portuali. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza depositata il 10 settembre (causa C-270/13, autorità portuale) che potrebbe avere effetti di più ampia portata grazie all’interpretazione restrittiva della nozione di esercizio di pubblici poteri fatta da Lussemburgo. E’ stato il Consiglio di Stato italiano a rivolgersi alla Corte Ue. Era stato nominato Presidente dell’Autorità portuale di Brindisi un cittadino greco. Un concorrente aveva impugnato il decreto di nomina del Ministero: il Tar gli aveva dato ragione sostenendo la necessità del requisito della cittadinanza italiana e invocando l’articolo 51 della Costituzione. Il presidente aveva fatto appello al Consiglio di Stato che ha chiamato in aiuto la Corte Ue. Che ha bocciato la tesi volta a imporre la cittadinanza dello Stato membro per le nomine in autorità se manca un esercizio continuativo di pubblici poteri.
Prima di tutto, la Corte ha affermato l’applicazione dell’articolo 45 del Trattato Ue che assicura la libera circolazione dei lavoratori. Il presidente dell’autorità portuale, afferma la Corte, svolge le sue funzioni con un vincolo di subordinazione dal Ministro che ha poteri direttivi, di controllo e sanzionatori, tanto da poter revocare la nomina. Tutte caratteristiche che evidenziano l’esistenza di un rapporto di subordinazione, confermata anche dal fatto che la retribuzione è versata come corrispettivo per lo svolgimento dei compiti affidati dalla legge. Chiarita l’applicazione dell’articolo 45 e, quindi, della libera circolazione dei lavoratori con un divieto di discriminazioni in base alla cittadinanza, la Corte ha anche respinto la possibilità di invocare l’eccezione prevista nel Trattato che esclude dalla regola gli impieghi nella pubblica amministrazione. Per la Corte, l’eccezione deve essere interpretata in modo restrittivo e può essere invocata solo nei casi di esercizio di pubblici poteri. Un’ipotesi che non si configura per un’autorità come quella in discussione: manca, infatti, la partecipazione a una potestà d’imperio ed da escludere che serva a tutelare interessi generali dello Stato che giustifichino una nomina riservata ai cittadini italiani. Tanto più – osservano gli eurogiudici – che il potere decisionale è del Comitato portuale e non del Presidente. E’ vero che i poteri d’imperio sono esercitati in alcuni casi dal Presidente ma l’eccezione al principio della libera circolazione dei lavoratori può essere invocata solo se i poteri sono esercitati in modo abituale e non costituiscono una parte ridotta dell’attività. Di qui la conclusione che per la nomina a presidente di un’autorità in cui non vi è un esercizio abituale di un pubblico potere la cittadinanza dello Stato membro non può essere posta come condizione
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