Cambiamento di sesso: nessuna violazione della Convenzione europea se lo Stato chiede la trasformazione del matrimonio in un’unione registrata

Nessun obbligo di procedere alla trascrizione di matrimoni tra coppie dello stesso sesso. Uno Stato, parte alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, può prevedere che una coppia sposata in cui un partner cambia sesso successivamente al matrimonio, debba procedere alla trasformazione del matrimonio in un’unione civile registrata per ottenere cambiamenti nei documenti. Lo ha precisato la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Hämäläinen contro Finlandia del 16 luglio 2014, in cui Strasburgo ha dato ragione allo Stato in causa (CASE OF HAMALAINEN v. FINLAND). Questi i fatti. Un uomo, sposatosi nel 1996, aveva deciso di cambiare sesso, effettuando l’operazione nel 2009. In base alla legge finlandese, le autorità civili potevano procedere al cambiamento di alcuni documenti e all’attribuzione di un nuovo numero di identità in base al nuovo genere solo nel momento in cui, con il consenso della moglie, la coppia avesse proceduto a una trasformazione del matrimonio in un’unione civile. In alternativa, la coppia avrebbe potuto optare per il divorzio. Questo perché la normativa interna sui transessuali richiede che il soggetto non sia sposato o abbia concluso un’unione registrata. A fronte del rifiuto alla conversione, per ragioni religiose, del matrimonio in un’unione civile registrata, non era stato possibile effettuare i cambiamenti richiesti. Di qui il ricorso prima alla Camera della Corte europea che ha dato torto alla ricorrente e poi alla Grande Camera che ha, di fatto, confermato il giudizio di “primo grado”. Per  Strasburgo, chiarito che gli Stati hanno un obbligo positivo, in  base all’articolo 8 della Convenzione che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare, di rendere accessibili le procedure per il riconoscimento del nuovo genere, ha affermato che non sussiste alcun obbligo per gli Stati di procedere al riconoscimento di matrimoni tra coppie dello stesso sesso. Nel caso in esame, a seguito del cambiamento di sesso, il ricorrente era stato registrato come donna, ma non aveva ottenuto il riconoscimento del matrimonio. La legge finlandese, infatti, proprio perché non ammette il matrimonio tra coppie dello stesso sesso, aveva chiesto la conversione del matrimonio in un’unione civile registrata. Ora, non solo gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento nelle scelte relative alle coppie dello stesso sesso anche in ragione delle profonde divergenze nei diversi Stati parti alla Convenzione ma, nel caso di specie, l’onere imposto dalla legislazione finlandese non creava alcun danno alla ricorrente anche in ragione degli analoghi diritti rispetto a quelli derivanti dal matrimonio riconosciuti alle coppie di unioni registrate. Respinta anche la tesi della ricorrente secondo la quale la legislazione finlandese comportava un divorzio forzato. Così non è precisa la Corte – tanto più che i componenti di coppie di unioni registrate, in Finlandia, godono di quasi tutti i diritti previsti per le coppie sposate, senza cambiamenti in ordine ai diritti genitoriali. Evidente quindi che non vi è stata alcuna violazione della Convenzione.

La conclusione della Corte europea, nel suo massimo organo giurisdizionale, conferma la correttezza, anche sul piano della normativa internazionale, della sentenza della Corte costituzionale n. 170 depositata l’11 giugno 2014 (170) con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità Costituzionale della normativa italiana che dispone la cessazione degli effetti del vincolo civile del matrimonio nel caso di cambi di sesso. Una sorte di divorzio imposto introdotto con la legge n. 164 del 1982. La Corte costituzionale, prima di tutto, ha ritenuto non pertinente la questione di costituzionalità relativamente all’articolo 8 della Convenzione europea proprio perché “in assenza di un consenso tra i vari Stati nazionali sul tema delle unioni omosessuali, la Corte EDU, sul presupposto del margine di apprezzamento conseguentemente loro riconosciuto, afferma essere riservate alla discrezionalità del legislatore nazionale le eventuali forme di tutela per le coppie di soggetti appartenenti al medesimo sesso”. Detto questo, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982 n. 164, con riferimento all’art. 2 Cost., “nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore”.

Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/alla-corte-costituzionale-lultima-parola-sul-divorzio-imposto-nel-caso-di-cambio-di-sesso-di-un-coniuge.html

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